PERDITE E DANNI CONSEGUENTI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Cosa si intende con l'espressione “loss and damage” (perdite e danni)? Si intende quella serie di impatti negativi legati ai cambiamenti climatici che non possono essere evitati né con misure di mitigazione né di adattamento. In tal senso, si è progressivamente sviluppato, in seno alle Conferenze ONU sul clima, il principio secondo il quale i Paesi più vulnerabili rispetto alle conseguenze del cambiamento climatico debbano essere compensati a livello patrimoniale dai Paesi che abbiano fallito nella regolamentazione e progressiva riduzione delle emissioni.
Variano molto tra Paesi e zone perchè dipendono dalla vulnerabilità sociale, ovvero dalle risorse e dai metodi che le persone e le società hanno a disposizione per fronteggiare calamità come alluvioni, uragani, siccità. È stato osservato che nei paesi più ricchi i danni sono soprattutto di tipo economico. Nei paesi in via di sviluppo invece le conseguenze si misurano in termini di vite umane e di danni ad infrastrutture fondamentali (case, ospedali, acquedotti, etc.) che i governi non sono in grado di ripristinare in tempo utile.
 
§ 1. Premessa.
Gli studi pubblicati su Global Warming mettono insieme osservazioni e analisi raccolte in nove Paesi tra i più vulnerabili in Asia, Africa e Pacifico. I casi studiati coprono un’ampia varietà di fenomeni: l’impatto della variazione delle pioggie monsoniche sulla vita dei contadini in Butan, i danni causati dalla maggiore salinità delle aree costiere in Bangladesh, l’erosione delle coste nell’isola di Korsae in Micronesia, le alluvioni in Nepal, Kenya ed Etiopia, la siccità che colpisce le regioni settentrionali del Gambia e del Burkina Faso e la combinazione di alluvioni e siccità in Mozambico.
Gli autori hanno osservato che nella maggior parte dei casi le popolazioni che si trovano a fronteggiare disastri naturali legati al clima cercano di reagire, di prevenire o di adattarsi, ma spesso le misure di prevenzione e di adattamento non sono sufficienti a limitare i danni, oppure hanno dei costi insostenibili che danneggiano non solo l’economia di un Paese o di un’area, ma anche il benessere sociale (inclusi costi non economici, come mangiare meno in condizioni di scarsità alimentare, o ridurre la possibilità dei bambini di andare a scuola). In alcuni casi, le misure prese per fronteggiare un’emergenza nel lungo periodo si rivelano controproducenti. Per esempio utilizzare le riserve per la semina come cibo quando le alluvioni distruggono un raccolto, nel caso del Kenya, o costruire di barriere di protezione lungo le coste che alla lunga ne favoriscono l’erosione, in Gambia e Micronesia. Infine ci sono situazioni in cui le misure non vengono prese affatto, o perchè mancano le capacità (economiche, tecnologiche) o perchè, semplicemente, è impossibile.
Il tema dei loss and damage è relativamente recente nella ricerca scientifica e nelle politiche climatiche. All’inizio l’attenzione era puntata sulla mitigazione, ovvero come, quanto e chi deve ridurre le emissioni per evitare un aumento eccessivo della temperatura globale. Dato che i gas serra in atmosfera ci mettono anche migliaia di anni prima di essere smaltiti (la CO2, il gas serra più diffuso, ha una “vita” di 30-100 anni), un certo aumento è inevitabile. Si è passati quindi a considerare anche le strategie di adattamento, un’impresa complessa perchè gli effetti variano molto su scala globale e regionale. Inoltre il ritardo accumulato nell’elaborare metodi e strumenti accessibili rende l’adattamento sempre più costoso.
È indubbio che un meccanismo di aiuto per i paesi piú esposti al cambiamento climatico sia necessario. Cosí come sta venendo affrontato, tuttavia, il tema presenta numerosi interrogativi. Primo fra tutti, il rischio di aggiungere una dimensione di responsabilità legale ai danni legati al clima. Questa dimensione sarebbe particolarmente preoccupante a causa della difficoltà nell’attribuzione di un evento specifico al cambiamento climatico. Una difficoltà addizionale deriva dalle dinamiche climatiche a lungo termine, per esempio l’innalzamento del livello del mare, che saranno molto piú difficili da quantificare e gestire rispetto ai singoli eventi estremi. Ovviamente, i paesi che si prospetterebbero riceventi dell’aiuto si stanno schierando a favore del loss and damage, mentre i paesi industrializzati sono molto cauti sul tema, se non apertamente contrari.
§ 2. COP-16 di Cancùn (2010). COP-18 di Doha (2012).
La richiesta di supportare i Paesi più esposti e/o vulnerabili nella compensazione dei danni associati agli impatti dei cambiamenti climatici fu sollevata per la prima volta nel 1991 dai Paesi AOSIS (l’Alleanza delle Piccole Isole).
Nel corso degli ultimi tempi si è rafforzato l’interesse della Conferenza su questo aspetto.
La decisione di affrontare questa tematica è stata assunta nella Decisione della COP-16 di Cancùn (Messico) del 2010, dove peraltro si è stabilito di organizzare un programma di lavoro specificatamente dedicato all’argomento nel quadro delle misure di adattamento al cambiamento climatico (Cancun Adaptation Framework).
A Doha (Quatar) è stato (timidamente) annunciato che i negoziati “prenderanno in considerazione le opzioni” per creare un meccanismo internazionale che affronti “perdite e danni” dei cambiamenti climatici. Una conquista per i Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries) e per il gruppo degli stati isolani (AOSIS) che da anni chiedevano azioni più decise. Il testo di Doha rimane generico, parlando di gestione integrata dei rischi e coordinazione e sinergie tra vari organismi, rinviando alla COP di Varsavia la definizione di accordi specifici sul tema. Un ipotetico meccanismo di compensazione si baserebbe su aiuti, sia finanziari che in termini di sviluppo delle competenze, da parte dei paesi industrializzati a favore dei paesi meno sviluppati e piú vulnerabili agli estremi climatici (finance, technology and capacity-building, for relevant actions, nella versione originale inglese).
§ 3. COP-19 di Varsavia (Polonia). Warsaw International Mechanism for Loss and Damage.
Ancora tre anni devono passare prima che alla COP-19 di Varsavia sia approvato il Warsaw International Mechanism for Loss and Damage (indicato con l’acronimo WIM). Il documento approvato era tuttavia ancora provvisorio, in quanto restavano in sospeso molti punti di frizione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo: sulle modalità con cui affrontare il problema, sull’entità e sulla definizione degli eventi da prendere in considerazione (mai approfonditamente studiati, anche perché direttamente dipendenti dall’esito delle operazioni di mitigazione e di adattamento) e soprattutto sulla previsione di risarcimenti per i paesi che avessero subito perdite o danni (che inevitabilmente sarebbero stati a carico dei paesi più sviluppati). Il WIM prevede tre aree di attività: l’incremento delle conoscenze sui rischi e sulle modalità di far fronte alle perdite e ai danni; lo sviluppo del coordinamento e delle sinergie tra i paesi e le istituzioni; l’incremento degli strumenti tecnologici e finanziari dedicati a questo argomento.
Si tratta di un accordo molto generico e volto a delineare i tratti “istituzionali” del meccanismo: si limita, infatti, ad istituire un executive committee del meccanismo in seno all’Adaptation Body, disciplinandone la composizione e i ruoli. In particolare, tale committee doveva assolvere alla principale funzione di favorire un più stretto rapporto e scambio di informazioni tra i vari boards scientifici presenti alla Conferenza; doveva sviluppare relazioni, raccomandazioni e codici di best practices, oltre ad assumere il ruolo di guida e coordinamento volto allo sviluppo di sinergie tra i più significativi stakeholders; inoltre, dovrà studiare e supportare soluzioni tecniche e finanziarie volte a sostenere il meccanismo di compensazione-risarcimento.
È evidente come mancassero disposizioni volte alla istituzione di fondi o all’elaborazione di altri meccanismi finanziari per pervenire alla declamata compensazione (fine ultimo, come visto, del meccanismo stesso).
§ 4. COP-21 di Parigi (2015). Accordo di Parigi.
Nell’ambito del processo di adattamento rientra anche il tema delle perdite e dei danni conseguenti al cambiamento climatico, trattato dall’art. 8: è stato uno dei punti più conflittuali dell’Accordo e, più in generale, delle negoziazioni che lo hanno preceduto.
Il tema, quindi, diviene parte integrante dell’Accordo di Parigi, dove è sostanzialmente recepito il meccanismo WIM delineato a Varsavia. I paesi in via di sviluppo, in particolari i paesi AOSIS, hanno però dovuto rinunciare alla previsione di risarcimenti a carico dei paesi sviluppati: il punto 52 della Decisione esclude infatti che perdite e danni possano dar luogo a risarcimenti.
L’art. 8 così recita: “1. Le Parti riconoscono l’importanza di evitare e ridurre al minimo le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, compresi gli eventi metereologici estremi e gli eventi lenti a manifestarsi, e di porvi rimedio, così come riconoscono l’importanza del ruolo dello sviluppo sostenibile nella riduzione del rischio di perdite e danni. 2. Il meccanismo internazionale di Varsavia per le perdite e i danni associati alle conseguenze dei cambiamenti climatici è sottoposto all’autorità e alla direzione della conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti del presente accordo e può essere migliorato e rafforzato su decisione della conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti del presente accordo. 3. Le Parti dovrebbero promuovere la comprensione, l’azione e il sostegno, in particolare attraverso il meccanismo internazionale di Varsavia, ove opportuno, in modo cooperativo e facilitativo per quanto riguarda le perdite e i danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici. 4. In maniera analoga, le aree di cooperazione e facilitazione per migliorare la comprensione, l’azione e il sostegno possono riguardare: a) sistemi di allerta precoce; b) preparazione alle emergenze; c) eventi lenti a manifestarsi; d) eventi che possono comportare perdite e danni irreversibili e permanenti; e) valutazione complessiva e gestione del rischio; f) strumenti di assicurazione rischi, mutualizzazione dei rischi climatici e altre soluzioni assicurative; g) perdite non economiche; h) resilienza delle comunità, dei mezzi di sussistenza e degli ecosistemi. 5. Il meccanismo internazionale di Varsavia collabora con gli organismi esistenti e i gruppi di esperti previsti dall'accordo, nonché con le organizzazioni e gli enti specializzati pertinenti al di fuori dello stesso. ”.
§ 5. COP-22 di Marrakech (2016).
Nel corso dell’evento, diversi relatori hanno affrontato la tematica relativa alla valutazione del Loss and Damage (L&D) contestualmente ai negoziati UNFCCC, non mancando, tuttavia, di sottolineare le potenzialità dei meccanismi d’intervento a livello locale per garantire la mobilitazione di fondi per affrontare disastri naturali ed eventi meteorologici estremi.
Le problematiche analizzate in sede d’evento sono state:
1. meccanismi di valutazione finanziaria per il Loss & Damage e relative criticità;
2. integrazione sinergica tra sistemi nazionali ed internazionali in ambito normativo relativamente all’attribuzione delle responsabilità.
Il professor Jan Fluglestvedt, Research Director CICERO – Center for International Climate and Environmental Research, ha presentato un’analisi critica delle principali metodologie adottate per la valutazione di L&D, sottolineando le criticità legate alla definizione di parametri condivisi in materia. Il calcolo delle emissioni di gas serra da parte dei singoli Paesi deve essere calibrato definendo gli indicatori significativi, le componenti da includere nell’analisi e la tipologia di attività (extraction, territorial, consumption emissions). In sintesi, gli studi da portare avanti dovranno tener conto delle singolarità di ogni sistema paese, mentre i metodi computazionali ed i modelli analitici dovranno tener conto di aspetti slegati dalle serie storiche relative ai livelli di emissioni nazionali.
Della stessa opinione Fredi Otto, Senior Researcher presso l’Environmental Change Institute della University of Oxford, con una presentazione incentrata sul legame tra emissioni, attività produttive a livello nazionale ed eventi climatici estremi: confrontando diversi modelli statistici, è importante considerare il contributo di singole variabili e definire parametri solidi per ottenere risultati attendibili. La stessa definizione di “evento climatico estremo” deve essere investigata attentamente al fine di comprendere in quale misura ed entro quali limiti si possa attribuire ai singoli stati la responsabilità di fornire un corrispettivo economico.
Relativamente alla seconda questione, l’avvocato internazionalista Lavanya Ramajani ha sollevato alcuni aspetti salienti relativi alle difficoltà riscontrate nell’implementazione di norme condivise che vadano a costituire una base normativa concreta per legittimare le politiche elaborate per la gestione del Loss and Damage a livello globale. La tematica, pur essendo stata riconosciuta a livello negoziale quale uno degli elementi fondamentali da implementare nei prossimi anni (art. 8 dell’Accordo di Parigi), resta ancora ampiamente da discutere. In particolare, si sottolinea il fatto che quantificare e definire gli obblighi nazionali possa non risultare semplice né condivisibile a livello globale; una definizione e un framework condiviso sono strumenti indispensabili per inquadrare il problema in un’ottica sistemica.
 

Avv. Giardina Antonio Domenico Francesco

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